di paolo - Lontano dagli occhi by Paolo Di Paolo

di paolo - Lontano dagli occhi by Paolo Di Paolo

autore:Paolo Di Paolo [Paolo, Paolo Di]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 2019-10-22T22:00:00+00:00


Prima di scendere in strada, ha pensato di lasciare un biglietto a Mara. Ma per dirle cosa? Le ha già chiarito le sue intenzioni. Ha fame, vorrebbe fare colazione. Forse il barista gliela offrirebbe. Però adesso vuole arrivare in via di Porta Labicana. Attraversa da un lato all’altro la stazione, e resta quasi incantata, nella luce grigia del primo mattino, dalla strana danza dei senzatetto.

C’è chi si sgranchisce a gesti ampi. E c’è una donna magrissima che mette in ordine le sue poche cose, con una dedizione sproporzionata per una che ha come casa una valigia. Loro ce la fanno, vedi? Dormire tutte le notti in una stazione non li uccide.

Su via Marsala chiede a uno spazzino se sa quale autobus arriva in via di Porta Labicana. Raggiunge la fermata, aspetta, sale senza biglietto. Il viaggio è breve, riconosce la zona, si orienta. Ha un’incertezza su due portoni, si mette a scorrere quasi uno per uno i nomi sui citofoni. Eccolo. Suona. Non sono ancora le sette e mezzo.

La voce che risponde non sembra quella di sua zia.

“Sono Valentina.”

“Chi è?”

Ripete il suo nome. “La nipote di Silvana,” aggiunge, e finalmente sente lo schiocco del portone aperto. Non ha chiesto indicazioni, ricorda bene la scala sulla destra oltre il cortile. Primo piano. Le viene incontro una sconosciuta, diffidente.

“Chi sei?” domanda di nuovo. Le fissa la pancia, non si fida lo stesso. “Che vuoi?”

“Parlare con mia zia.”

Si guadagna l’ingresso quando le dice: “Ho passato molte domeniche qui, giocavo nella stanza di Nadia, quella tutta rosa”.

La casa è rimasta identica. Nel corridoio stretto e lunghissimo, un mobile ricoperto di vecchia posta, gli elenchi del telefono impilati. L’appendiabiti. Il telefono a muro. Su una poltrona in cucina è seduta zia Silvana, una camicia da notte chiara, i capelli più bianchi di come li ricordava. Forse erano grigi. La trova magrissima, come rimpicciolita. Quanto tempo è passato?

“Zia, ciao, sono io, sono Valentina.”

Silvana resta immobile, la testa piegata, il mento contro lo sterno. “Non ti sente,” dice la sconosciuta, arrivandole alle spalle. “Devi parlare più forte.”

Valentina alza il tono, con fatica quasi si accuccia ai piedi di sua zia, che finalmente alza gli occhi e la guarda interrogativa. “Chi sei?” domanda, con una voce sfiatata che si spegne subito.

Gli occhi chiari, acquosi, fissano il vuoto, assenti. Il respiro è affannoso. “Nadia,” dice, dopo un lungo silenzio. “Sei Nadia?”

Valentina le fa una carezza, sfiora quel volto ossuto. Sosta nel corridoio il tempo di fermare nella testa, l’ultima volta, la carta da parati verde, il telefono a muro. Il ramoscello d’ulivo sopra la Madonna di Loreto.

Sta morendo di fame e di stanchezza. Devo tornare a casa, pensa. Non posso fare altro. Il suono di una sirena che si avvicina la fa saltare, sembra che stia per fermarsi lì, a pochi metri da lei, invece va oltre, si perde. Uscendo dal bar dove ha fatto pipì – le hanno chiesto se avesse bisogno di qualcosa, le hanno offerto un cappuccino e un cornetto – si sente quasi rinfrancata. Per un attimo si dice: vai, Valentina.



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